Il sogno di una clochard
(Emilio, Patricia, Chiara, Michele, Annalisa)
Quella notte ero molto ubriaca e senza soldi. Per continuare a bere le mie amiche mi incoraggiarono a rubare il portafoglio di un cliente del bar, altrettanto sbronzo, ma le telecamere di sicurezza mi ripresero. I poliziotti mi arrestarono e incarcerarono per nove lunghi mesi, malgrado i soldi rubati non sarebbero bastati nemmeno per una birra. Quando fui rilasciata, per la mia famiglia non esistevo più e nessuna delle mie compagne di sbronze voleva più vedermi. Inoltre, avevo perso il lavoro e non sapevo dove andare. Ero diventata una barbona.
Il vizio di bere era finito. Chiesi permesso ai parenti per prendere le mie cose; promisi loro che non mi avrebbero più vista. Poi trovai un “alloggio”, sotto un arbusto, nelle vicinanze del fiume che costeggia il paese. Devo dire che, rispetto a dormire in una cella fredda con altre due donne, stare all’aria aperta, da sola, con il fruscio dell’acqua che scorreva tutta la notte, mi piaceva moltissimo. Mi sentivo parte della natura. Il problema era trovare qualcosa da mettere sotto i denti, ma non lontano c’era un mercato. Il giorno dopo mi recai per elemosinare del cibo o qualche soldo.
La competizione però era spietata. C’erano donne con bambini che mendicavano, disabili che imploravano qualche soldo, finti disabili, abili borseggiatori, clochards con cuccioli che riuscivano ad impietosire anche i cuori più duri e a guadagnare quanto bastava per scatolette di cibo per padroni ed animali. Prima non avevo mai visto quell’umanità nascosta, anzi, l’avevo disprezzata. Adesso mi trovavo a considerare che loro, forse, non se l’erano affatto andata a cercare una vita del genere, compiendo gesti scellerati e privi di morale. Forse, a loro, era semplicemente capitato.
Mi sedetti in un angolo, vinta dalla tristezza e dall’angoscia, versando l’unica cosa che ancora avevo: le lacrime. Ma dove ero finita? Ma come mi ero ridotta? Ripensai ai momenti felici, e alla rottura degli equilibri che mi portò a bere. Mi venne in mente una parabola che ascoltai da bimba in Chiesa: raccontava di un figlio che aveva voluto in anticipo dal padre i soldi dell’eredità e li aveva subito spesi tutti. Ero nella sua stessa situazione, solo che suo padre lo aveva accolto e perdonato al suo ritorno… ma se ora fossi tornata dal mio papà lui come mi avrebbe accolta? , mi chiesi.
Non avevo voglia di pensarci. Oltre alle lacrime quello che mi era rimasto era certamente l’orgoglio. Non avevo una lira, però, e la fame avanzava. Vidi tra le bancarelle un piccolo tavolino con un cartello: “Vendesi sogni, ultima possibilità”. Mi avvicinai. Un ragazzo mi sorrise, chiedendomi se ne volessi comprare uno.
—Di soldi non ne ho, ma ho sempre avuto il sogno di scrivere, chissà se ci sarebbe stato per me questo tra i tuoi bigliettini da un dollaro ciascuno… —dissi.
—Hai pescato quello giusto cara! Domani io me ne vado a vivere in Italia, ho una vecchia zia a Genova e mi trasferirò li. Vuoi in regalo il mio banchetto? Funziona sai? Ci faccio circa venti dollari al giorno e i clienti sono affezionati!
Da allora la mia vita è così: ho una baracca sul fiume, di notte scrivo biglietti con i sogni a cui le persone non riescono più a credere, e di giorno glieli vendo a un dollaro e mezzo. Ho aumentato la tariffa perché sono brava, così mi riesco pure a farmi una birra ogni tanto…