Ladro onesto
(Emilio, Chiara, Patricia, Annalisa, Michele)
Mi lasci andare, per favore —chiese al poliziotto mentre cercava di evitare di essere ammanettato.
Con avversione, lo sbirro non mollò la presa. Altre due agenti scesero velocemente da una volante e si avvicinarono al collega per aiutarlo con l’arresto.
—Favorisca le sue generalità, signore —ordinò il poliziotto al sospettato.
—Sono Ruffino Villazón, sono un uomo onesto, un lavoratore.
—Ruffino Villazón, la dichiaro in arresto per aggressione a pubblico ufficiale.
—Cosa? Ma se è stato Lei ad aggredirmi. Lei mi ha messo le manette senza alcun motivo.
—Non sia ridicolo, Villazón, l’ho sorpreso mentre rubava! Lei è nei guai, l’ho colto in stato di flagranza di reato, in più, ha opposto resistenza a pubblico ufficiale.
L’agente fece un cenno con il capo alle altre due camicie blu e disse:
—Portatelo al commissariato.
I due afferrarono il sospettato per le braccia. Lui parve intenzionato a divincolarsi, poi cambiò idea. Salì in macchina senza opporre resistenza mentre gridava:
—Ogni particolare di questo incidente apparirà su tutti i giornali!
—Mi faccia il piacere, tutti sappiamo che Lei è il ladro più ricercato della provincia di Sgraffignano. I giornali pubblicheranno la notizia del suo arresto —dichiarò il poliziotto—. Portatelo via —aggiunse.
Mentre percorrevano il tragitto verso la caserma, Ruffino sfoggiava un sorrisetto impertinente, come quello dei bambini che hanno combinato qualcosa e sanno che le loro azioni serviranno al loro scopo. I poliziotti lo osservavano notando che il suo aspetto non era proprio quello di un malvivente. Ben vestito, ben pettinato, una persona raffinata all’apparenza. Ma Ruffino Villazón era ben più che apparenza. Aveva svaligiato case, uffici, negozi nel corso degli anni, ed aveva lasciato ovunque il suo segno distintivo: un biglietto da visita col suo nome, e con la sua professione: trasportatore di ricchezza.
Non rubava alla povera gente, lui, no. Era contro la sua etica. Spiava, complice il suo apparire distinto e per bene, per lunghi mesi le sue ricche vittime, per capire le loro dinamiche, i loro comportamenti, se avevano segreti… E com’è facile immaginare, di segreti loro ne avevano.
Quello che i poliziotti non sospettavano, è che negli ultimi tempi, si era interessato particolarmente proprio alla loro caserma, ed a tutti quelli che ci lavoravano. E quante cosette aveva scoperto!
Se sapessero quello che so io, pensava accentuando quel sorrisino che per i poliziotti era sfida, o follia, e per lui compiacenza. Capiranno che grosso sbaglio hanno fatto perché anche se mi metteranno in gattabuia, e questo è ancora tutto da vedere, di sicuro mi seguiranno presto. E lì, non si scherza”, pensò.
Dato che le famiglie ricche di Sgraffignano trascorrevano le estati al mare o i fine settimane in montagna a sciare, avevano installato un sistema antifurto collegato alla caserma della polizia per garantire la sorveglianza h24. L’allarme strimpellava nella caserma senza che il ladro se ne accorgesse per poter prenderlo con “le mani in pasta”. Le ricerche di Villazón lo avevano portato proprio a scoprire questo “ponte” che favoriva i ricchi e altrettanto i poliziotti corrotti. Questi ultimi potevano disattivare l’antifurto dalla caserma ed entrare tranquillamente per godersi la piscina, bere il whisky etichetta nera del padrone di casa, sniffare un po’ di polvere dei figli e magari portarsi qualche amichetta in completa discrezione lontano dallo sguardo di tutti e fare orge. A volte rubavano gioielli della padrona di casa per regalarli alle fanciulle di compagnia. Alla fine della baldoria facevano finta di essere arrivati dopo che il ladro era ormai andato via. Per questo, si era sparsa la voce che Ruffino fosse il ladro più abile del paese perché nemmeno la polizia con l’allarme in caserma riusciva ad arrivare in tempo per prenderlo; invece, Ruffino li aveva osservati da lontano seduto sui rami dei grossi alberi con i binocoli per godersi le serate di sesso, droga e alcool di chi era stato assegnato per proteggere la città. Quel giorno, però, Ruffino Villazón, il ladro onesto, entrò nella villa con lo scopo di essere preso dai veri ladri per dare loro una lezione.
Ruffino si fece dunque arrestare con tranquillità. I colleghi certo non immaginavano che fosse un federale in borghese e che coi tecnici aveva fatto riattivare gli impianti di video sorveglianza che avrebbero inchiodato quei porci arroganti piedipiatti. Ma anche lui non era proprio impeccabile come agente dell’FBI. Nei mesi sotto copertura, grazie alla sua laurea in ingegneria informatica, aveva fatto diversi giroconti dai conti di quei ricconi verso associazioni che si occupavano di aiutare i più fragili.
Si sentiva comunque tranquillo perché inchiodando i poliziotti ne sarebbe uscito pulito, non aveva però fatto i conti con il fatto che alla centrale quel giorno presenziava Michael Field in persona.
Michael Field era uno stimato commissario di Polizia della capitale, da un anno in aspettativa. Non reggeva più lo stress del lavoro che un tempo amava, ma che lo aveva portato quasi all’esaurimento. I campanelli d’allarme erano stati molti, e li aveva colti per decidersi finalmente a mettersi in pausa. In questa pausa non aveva però lasciato completamente il suo lavoro. Non indagava più sui normali crimini della metropoli, ma si era orientato a smascherare la peggio società: i colleghi poliziotti corrotti. L’anno di indagini “private” lo avevano portato a scoprire i poliziotti corrotti di Sgraffignano, e rientrato dall’aspettativa si era fatto destinare proprio a questo commissariato. Ora davanti a lui c’era il capro espiatorio dei furti condotti invece da poliziotti disonesti. Non sapeva chi fosse realmente Ruffino Villazón, ma già gli stava simpatico, perché incriminato di reati non suoi.
—E allora sei tu l’inafferrabile ladro?
Villazón rimase in silenzio. Non aveva messo in conto che sarebbe stato il famoso Michael Field a condurre l’interrogatorio. Doveva giocare bene le sue carte, o rischiava il carcere a vita. Provò a bluffare:
—Lei sa?
—Io so… so tutto. So che non sei l’autore dei furti, o meglio, so che qualcosa ha portato via, ma a fin di bene… è pur sempre un reato, ma senza conoscermi mi hai aiutato a smascherare i veri colpevoli.
—E adesso?
—In Malawi c’è un mio caro amico medico che ha costruito un ospedale pediatrico. Io sono stanco di questa vita che conduco, lo voglio raggiungere, questo è il mio ultimo caso. Oggi assicurerò i poliziotti corrotti alla giustizia, poi partirò. Lascerò a verbale le prove della tua innocenza. Sei libero.
Ruffino Villazón, si alzò perplesso e uscì dal commissariato. In tasca ancora i codici dei conti in banca delle vittime. Entrò nel primo Internet caffè e svuotò tutti i conti a cui ancora riusciva ad accedere. Dieci minuti dopo che era uscito fece irruzione una squadra della Polizia Postale e si recò al PC che stava usando. La tastiera era ancora calda, il browser era ancora aperto. L’ultima pagina visitata era quella con l’IBAN di un ospedale pediatrico del Malawi.